La storia di un marchio diventato un’impronta indelebile!

La storia della Kawasaki è un viaggio affascinante nel tempo attraverso l’evoluzione tecnologica che è nata per mano di Shozo Kawasaki, fondatore della Kawasaki Heavy Industries agli albori dell’industrializzazione del Giappone.

Tutto è iniziato in un cantiere navale nel 1878 ad opera di quest’uomo, Shozo Kawasaki.

Kawasaki opera ad ampio spettro in vari ambiti tra i quali, il settore Aerospaziale, la costruzione navale, il materiale rotabile, l’energia, le attrezzature industriali, le infrastrutture, l’ambiente e il riciclaggio. Kawasaki Heavy Industries, Ltd. (KHI) è impegnata nella costruzione di mezzi di trasporto per il 21° secolo, e nel farlo impiega il suo vasto know-how tecnologico maturato negli oltre 100 anni della sua storia. 

Ulteriori approfondimenti sul mondo Kawasaki sono disponibili sul sito ufficiale kawasaki.it

Shōzō Kawasaki

Sebbene inizialmente l’azienda si era dedicata sulla produzione di navi e attrezzature del comparto ferroviario è fu artefice dello sviluppo delle infrastrutture nipponiche, è entrata nel mondo delle due ruote nel 1960, quando presentò al mondo la B8 125cc che scalò velocemente il successo per le sue prestazioni sorprendenti.

La B8 125cc è stata la prima moto da prodotta da Kawasaki, erogava gli 8 CV ed aveva un cambio a 4 marce. Il successo della B8 indusse la casa di Akashi a sviluppare la sua prima moto sportiva da corsa, la B8M che aveva 12 CV e un cambio a 4 marce, dando il via alla tradizione agonistica Kawasaki.

Negli anni ’70 Kawasaki approdò alla Superbike con la iconica Z1, una rivoluzionaria superbike da 900cc ad alte prestazioni e contribuì a ridisegnare i limiti di potenza e velocità. Da allora il marchio Z è entrato a far parte della storia. A dire il vero l’idea di creare la Z1 venne presa nel 1966 per proporre la prima 4T che potesse contrastare le maxi inglesi Norto, BSA e Triumph ed entrare in competizione con le Gilera 500 e MV Agusta 500 che da decenni dominavano i circuiti del mondo.

Il difficile compito venne affidato ai migliori tecnici della Meguro, affiancati da alcuni ingegneri provenienti dal settore aeronautico della Kawasaki e coordinati da Gyochi Inamura, meglio conosciuto nel mondo delle due ruote con il soprannome di “Ben Mister Z1” o, più affettuosamente, di “Zio Ben“.

I lavori procedettero con grande metodo, preceduti da uno studio approfondito dei modelli di riferimento e coperti da assoluta segretezza anche all’interno dell’azienda, tanto che per poter agevolmente identificare il progetto, era stato scelto il nome in codice di ニューヨークステーキ (Nyūyōku sutēki?ovvero “Bistecca di New York”).

Tutto era stato previsto e calcolato nei più piccoli dettagli, tranne il fatto che la concorrente azienda giapponese Honda, contemporaneamente e con identica segretezza, aveva avuto e stava attuando la medesima idea.

Agli inizi del 1968 il progetto “Bistecca di New York” era in fase di avanzato sviluppo. I primi motori quadricilindrici da 750 cm³ giravano sui banchi di prova e si stava terminando il prototipo per il collaudo su strada, il che faceva presumere la presentazione del modello definitivo pre-serie nei primi mesi del  1969.

La Kawasaki 900 Z1 venne ufficialmente presentata, nel settembre 1972, al Salone di Colonia. Il modello venne accolto da un immediato successo di critica e di pubblico e fu nel descrivere questo modello che la stampa specializzata coniò il neologismo “superbike“, termine destinato ad essere adottato da molti idiomi.

Nonostante la mole imponente (per l’epoca) e il peso notevole, la moto beneficiava di una linea snella ed accattivante, con finiture accurate, accessori di pregio e una verniciatura impeccabile.

Il motore era a quattro tempi, con doppio albero a camme in testa, alloggiato in un telaio a doppia culla continua in tubi d’acciaio, irrobustito nella zona del canotto di sterzo e all’infulcramento del forcellone, con triangolature di rinforzo in lamiera stampata.

Le prestazioni erano di tutto rispetto e non avevano eguali nella produzione concorrente. La velocità effettiva (212 km/h) superiore a quella dichiarata (200 km/h) e le doti di accelerazione non sembravano accusare gli oltre 250 kg, in ordine di marcia, del veicolo.

Contrariamente ai precedenti modelli con motore 2T, questa Kawasaki sfoggiava anche discrete doti di stabilità, a volte inficiate dalla morbidezza delle sospensioni anteriori.

Data l’impostazione prevalentemente turistica della “900 Z1“, la Kawasaki non aveva previsto alcun programma evolutivo per la partecipazione ufficiale o tramite privati alle competizioni, riservandolo ai modelli con propulsione 2T.

Tuttavia, allo scopo di conferire un minimo di prestigio sportivo alla nuova moto, nel marzo del 1973, scelse la pista di Daytona per tentare di battere alcuni record per moto di serie. In tre giorni di prove, le tre “900 Z1” conquistarono 44 record nazionali e 3 record mondiali di velocità, sulle distanze dei “10 km”, dei “100 km” e delle “24 ore”. Nel corso dei tentativi, la “Kawasaki-Yoshimura” condotta dal pilota canadese Duhamel riuscì a toccare i 280 km/h.

La Kawasaki ha sempre avuto una presenza notevole nelle competizioni, con successi importanti nei campionati di motocross, superbike e altre discipline. La sua prima vittoria nel campionato mondiale Superbike avvenne 1993 con la ZX-7RR grazie a Scott Rusell che vinse il titolo mettendo dietro nomi di tutto rispetto come Carl Fogarty e Aaron Slight.

Da sempre la Kawasaki ha continuato a evolvere le sue moto e nel 1983 presentò un’icona divenuta leggenda, la GPz900R, moto con un design rivoluzionario per l’epoca, che venne considerata la progenitrice delle moto supersportive, fu la prima moto ad adottare il nome Ninja. Per progettarla ci vollero ben sette anni e anche la prima stradale in grande serie a montare un motore quattro cilindri in linea con distribuzione bialbero a 16 valvole raffreddato a liquido.

È dotata di un propulsore dalla cilindrata totale di 908 cm³, alimentato da un sistema a quadrupla farfalla, coadiuvato da quattro carburatori Mikuni. Il motore a quattro cilindri in linea è dotato di 16 valvole inclinate di 35°, azionate mediante due alberi a camme in testa.[5]

La GPz900R erogava 115 CV (86 kW), consentendo alla moto di raggiungere velocità 243 km/h, rendendola la prima moto stradale di serie a superare i 240 km/h.

Tra le peculiarità tecniche vi era l’abbinamento del sistema raffreddamento ad acqua con la testata a 16 valvole, che consentiva di incrementare la potenza, e un telaio che utilizzava il motore come elemento portante per migliorare la maneggevolezza e ridurre il peso. Inoltre la moto adottava un innovativo sistema “antiaffondamento” in frenata chiamato “AVDS” (Automatic Variable Damping System), che interagendo con il sistema frenante, permetteva alla forcella anteriore in fase di frenata di non schiacciarsi per via del trasferimento di peso sulla ruota anteriore e pertanto di non coricarsi in avanti, riducendo di conseguenza il beccheggio.

Nonostante le sue prestazioni, la GPZ 900R per l’epoca era assai guidabile nel traffico urbano, grazie all’innovativo scherma sospensivo e all’adozione di un contralbero di bilanciamento che elimina quasi del tutto le vibrazioni prodotte dal propulsore. In conseguenza della combinazione tra aerodinamica, carenatura ed ergonomia complessiva, la moto risulta avere per gli standard dell’epoca una guida confortevole sulle lunghe percorrenze.

Fu presentata alla stampa nel dicembre 1983, la moto venne impiegata al Tourist Trophy dell’Isola di Man nel 1984, terminando la gara al primo e al secondo posto.

Grazie alla sua velocità massima di 240 km/h, al momento del lancio era la moto stradale di produzione in serie più veloce dell’epoca. La GPZ 900R del 1984 è stata la prima moto Kawasaki ad essere commercializzata ufficialmente in Nord America e divenne famosa nel film Top Gun (1986).

Tra le fila dei piloti Kawasaki la carrellata di nomi intramontabili si susseguirono, Akira Yanagawa, Andrew Pitt, Leon Haslam, Garry McCoy, Shin’ya Nakano, Alex Hofmann, Olivier Jacque, Randy de Puniet, Anthony West, Fonsi Nieto, John Hopkins, Jamie Hacking, Anthony Gobert, Tom Sykes (campione del mondo SBK 2013), Jonathan Rea (6 volte campione del mondo dal 2015 al 2020), agli attuali Axel Bassani e Alex Lowes del team ufficiale Bimota Racing Team by Kawasaki.

Tom Sykes – Campione del mondo WSBK nel 2013
Jonathan Rea – 6 volte campione del mondo WSBK
Akira Yanagawa

Ma la storia della Kawasaki è scritta anche dalle scuderie private come il Puccetti Racing che tutti ricordano per gli splendidi successi di Kenan Sofuoğlu (3 volte campione del mondo SSP), team che dal 2025 è divenuto il nuovo Kawasaki Racing Team ufficiale. Tra gli altri team un nome rinomato è sicuramente quello di Lucio Pedercini, ex pilota due volte vincitore del campionato italiano Superbike nel 2001 e 2002 e dirigente sportivo del TPR Team Pedercini Racing.

Manuel Puccetti
Lucio Pedercini

Sempre tra le fila dei team che corrono nei campionati con la Kawasaki ci sono il Prodina Team, il team GP Project, Vince 64 e volendo menzionare il mondo rosa, come dimenticare Ana Carrasco prima donna vincitrice del titolo mondiale SSP 300 nel 2018.

Kawasaki è presente anche nei campionati cross e dagli anni ’90 è divenuta una delle squadre di spicco del campionato. Nel settore cross ha ottenuto numerose vittorie (31 titoli) nella minore cilindrata (l’attuale classe 250) dove però schiera un team satellite, il Pro Circuit Monster Energy, che corre anch’esso sia supercross che motocross. Questo team è molto famoso per essere sempre alla ricerca di nuovi talenti da lanciare nel massimo campionato, spesso prelevando campioni dall’Europa. Anche nel settore delle competizioni fuoristrada Kawasaki è presente da molti anni e anche nel campionato mondiale di motocross ha raccolto diversi allori, ottenendo 5 titoli mondiali piloti (due nella classe regina e tre nella minore) e 2 titoli mondiali costruttori (uno per classe).